Fagiolo Trighine

Fagiolo - Trighine o Trighina

Trighine o Trighina

Negli anni ’90 con la nascita dell’interesse verso l’agrobiodiversità, a livello accademico e popolare si sviluppa nuovamente un’orticoltura volta a recuperare cultivar e sapori del passato, con più consapevolezza. Le attuali collezioni e le attuali coltivazioni nei borghi sardi sono l’esito di questo interesse. Anche a Gavoi, vengono conservate diverse varietà con le seguenti denominazioni: avisedda melinedda; avisedda grigia, avisedda rubia, avisedda bianca, avisedda pinta rubia, avisedda trighina. Avisedda (piccola fava) è il nome che si dà al genere Phaseolus secondo l’etnobotanica tradizionale sarda del gavoese, nel nuorese. In altre località della Barbagia si dà al genere Phaseolus altra denominazione: faita o pisu. Nel dialetto gavoese avisedda indica il fagiolo, mentre corrinzolu è il nome che si dà al bacillo contenente i semi del fagiolo. In altri areali il fagiolo si chiama basolu (da phaseolus appunto). Il legame tra i fagioli di Gavoi, di cui vi sono ben sei cultivar, e il territorio è radicato e forte; ancora oggi negli orti tutte o una parte di queste cultivar vengono coltivate. Secondo Giovanna Pira, una delle testimoni, la coltivazione dei fagioli, è presente a Gavoi da tempo immemore, lei ricorda sin da bambina sua madre e sua nonna che coltivavano gli orti e conservavano le diverse varietà di fagioli.

Scheda della risorsa PDF

Regno: Vegetale

Famiglia: Fabaceae

Genere: Phaseolus

Specie: Phaseolus vulgaris L. Subsp. vulgaris

Area di origine: Gavoi e areali orticoli della Sardegna

Rischio di estinzione e/o erosione genetica: Si

I  fagioli  sono stati coltivati in Sardegna sin dal XVI secolo. Arrivati sull’Isola precocemente dalle Americhe, da poco “scoperte”, a seguito di soldati, commercianti o missionari spagnoli, in un periodo storico in cui la Sardegna era sotto il diretto dominio della Corona spagnola (1479-1713). Le prime attestazioni della coltivazione dei fagioli americani da parte dei sardi si trovano in Giovanni Francesco Fara nel 1580 (Guigoni 2009: 275). Un documento manoscritto del 1661 sui Terzi Quinti della Chiesa cattolica, conservato all’Archivio arcivescovile di Cagliari, accenna a forment, ordi, favas, lentias e a fasoli (Guigoni 2009: 276).  L’isola era, sin dall’antichità, consumatrice e coltivatrice di frumenti e legumi di varia natura, quindi non meraviglia che i fagioli americani si siano introdotti con facilità, specie in quelle zone di montagna o collina irrigue, in condizioni pedo-climatiche favorevoli. Nel 1780 l’agronomo sassarese Andrea Manca dell’Arca elenca una serie di fagioli coltivati sull’isola: «I fagioli li conoscono in Sardegna di tre spezie, cioè: i fagioli morischi, di Barbaria, più grossi, e quelli appellati cornuti per la similitudine delle teghe lunghe come corna di capra: quelli morischi variano più nei colori perché si vedono a guisa di gemme di diaspro, rossi, bianchi, neri e scritti, e fanno le teghe più piccole; dei morischi e barbareschi ne seminano gli ortolani per vender le teghe fresche che servono per insalate; e benché il barbaresco è primitivo, fa le teghe più grandi e grani lunghi e grossi; e sono di nutrimento più leggiero delli morischi. 

Nell’Ottocento le fonti scritte che testimoniano la coltivazione e gli usi alimentari dei fagioli nelle zone di montagna, si moltiplicano. Vittorio Angius e Goffredo Casalis (ed. 1837-1856) per Gavoi non citano i fagioli ma solo i legumi, di cui si dice Gavoi coltivasse 50 stari. In passato, come è noto, i fagioli erano considerati la “carne del povero” per il loro apporto proteico e calorico, ritenuti sostanziosi e nutrienti. I fagioli venivano consumati freschi, in estate, prevalentemente bolliti o stufati in autunno e inverno, sino al raccolto successivo. I fagiolini erano considerati una leccornia in insalata; i fagioli, una volta sgranati e lasciati ad essiccare venivano conservati: una parte per la semina dell’anno successivo, l’latra parte era consumata nel corso di autunno-inverno-primavera in numerose ricette, in particolare venivano utilizzati a Gavoi, per realizzare: una minestra di erbe selvatiche s’erbuzu, oggi censita nell’elenco nazionale dei PAT, realizzata con 17 differenti erbe, fagioli, lardo e quagliato salato  e sa cruhuvica, una vellutata di zucca preparata con una varietà locale di zucca striata e condita anch’essa con lardo e quagliato salato.

B1 Presenza/legame con il territorio
B1.1 Identificazione della risorsa
B1.2 Area geografica
B1.3 Risorsa presente nel Comune/Area geografica di origine o introdotta da altro territorio
B1.4 Tempo di presenza della risorsa in quel territorio
B1.5 Percezione dell'entità del legame della risorsa con il territorio
B2 Informazioni storiche, antropologiche, indagini e studi scientifici
B2.1 Disponibilità di documentazione storica/archivistica a supporto del legame della risorsa genetica con il territorio
B2.2 Bibliografia
B3 Conoscenze tradizionali associate
B3.1 Utilizzo alimentare della risorsa
B3.2 Utilizzo non alimentare della risorsa
B3.3 Ambito di processo
B3.4 Processo di lavorazione del prodotto
Selezionare metodo di conservazione:
Selezionare metodo di trasformazione:
B3.5 Tecniche di allevamento, di gestione e di riproduzione
B3.6 Principali ragioni di utilizzo di una risorsa genetica
B3.7 Impiego durante eventi culturali, religiosi, folkloristici etc.
B4 Trasmissione dei saperi relativi a coltivazione e uso della varietà
B4.1 Cenni storici (specificare)

Traccia:

  • Riferimento a riti e simboli nell'allevamento (lune, ricorrenze, ecc.), scambio di materiale genetico fra allevatori (ora e/o in passato), proverbi, favole, detti, storie legate alla cultura, nomi di prodotti derivati
  • Ricette (allegare, in formato digitale, le eventuali ricette alla sezione altri file, correlandola alla tipologia "file relazione storica")
  • Modalità di trasmissione dei saperi (scritta, orale etc.). Componenti della famiglia coinvolti nella trasmissione delle informazioni
  • Quali esperienze e quali soggetti sono stati fondamentali nell’apprendere i saperi relativi al bene? Chi ha trasmesso questi saperi? In quali occasioni?
  • A chi si stanno trasmettendo questi saperi? In quali occasioni? Sono stati introdotti cambiamenti rispetto ai saperi tradizionali?
B5 Note e commenti
B1.2 Area geografica
B1.3 Risorsa presente nel Comune/Area geografica di origine o introdotta da altro territorio
B1.4 Tempo di presenza
B1.5 Percezione dell'entità del legame della risorsa con il territorio
B2 Informazioni storiche, antropologiche, indagini e studi scientifici
B2.1 Disponibilità di documentazione storica/archivistica a supporto del legame della risorsa genetica con il territorio
B2.2 Bibliografia
B3 Conoscenze tradizionali associate
B3.1 Utilizzo alimentare della risorsa
B3.2 Utilizzo non alimentare della risorsa
B3.3 Ambito di processo
B3.4 Processo di lavorazione del prodotto
Selezionare metodo di conservazione:
Selezionare metodo di trasformazione:
B3.5 Principali ragioni di utilizzo di una risorsa genetica
B4 Trasmissione dei saperi relativi a coltivazione e uso della varietà
Cenni storici (specificare)

Traccia:

  • Riferimento a riti e simboli della coltivazione (lune, ricorrenze, ecc.), scambio di seme fra agricoltori (ora e/o in passato), proverbi, favole, detti, storie legate alla cultura, nomi di prodotti derivati
  • Ricette (allegare, in formato digitale, le eventuali ricette alla sezione altri file, correlandola alla tipologia "file relazione storica")
  • Modalità di trasmissione dei saperi (scritta, orale etc.). Componenti della famiglia coinvolti nella trasmissione delle informazioni
  • Quali esperienze e quali soggetti sono stati fondamentali nell’apprendere i saperi relativi al bene? Chi ha trasmesso questi saperi? In quali occasioni?
  • A chi si stanno trasmettendo questi saperi? In quali occasioni? Sono stati introdotti cambiamenti rispetto ai saperi tradizionali?
B5 Note e commenti

Link e documenti correlati

Pianta con accrescimento di tipo rampicante, con velocità di accrescimento medio (ca 200 cm dopo 50gg). Foglia terminale di forma quadrangolare di grande dimensione. Il fiore è rosa con ali bianco rosacee. Il bacello ha una lunghezza media di 12 cm e larghezza media di 15 mm, una curvatura di grado medio, un colore primario giallo-verde, secondario rosso rosso-chiaro e presenta una sezione ellittica/ovale. Il seme di forma tondeggiante o ellittica ha dimensioni di circa 8x12 mm di colore beige tendente al grigio. Epoca di fioritura media.
Informazioni risorsa
A1 Caratterizzazione morfologica
A2 Inquadramento agro-ambientale
A2.1 Identificazione sito

Luogo di conservazione

Modalità di conservazione In Situ/On Farm

Modalità di conservazione Ex Situ

 

A2.2 Conduttore dell'azienda

Attività agricola prevalente

A2.3 Ordinamento produttivo prevalente dell'azienda
A2.4 Caratteristiche luogo allevamento
A2.5 Rischio di erosione genetica o di estinzione
A2.6 Sistema allevamento
A2.7 Origine del materiale allevato

Origine riproduttori

Epoca di introduzione in azienda

Luogo dove è stato inizialmente reperito

A2.8 Consistenza
A2.9 Ruolo della risorsa in azienda
A2.10 Usi della risorsa

Destinazione

Ambito di processo

A2.11 Metodo di riproduzione
A2.12 Commercializzazione
A2.13 Rischio di perdita dell'accessione a giudizio del rilevatore
A2.14 Notizie su altre popolazioni o individui simili locali scomparsi
A3 Caratteri produttivi e riproduttivi

Fornire le sottostanti informazioni relative ai caratteri produttivi e riproduttivi della razza, in funzione della specie che si considera.
Caratteri produttivi
- per animali da latte: livelli produttivi di primipare e adulte per lattazione e durata lattazione, eventualmente % TG e TP per lattazione
- per animali da carne: peso a età tipiche (nascita, svezzamento o 30 gg, 90 gg, 6 mesi, 1 anno, peso medio alla macellazione
Caratteri riproduttivi
- stagionalità dell'estro: poliestro continuo o stagionale, periodo di anaestro
- età media al primo parto
- fertilità annua (intesa come rapporto percentuale tra il numero delle femmine partorite ed il numero delle femmine messe in riproduzione).
- prolificità (intesa come rapporto percentuale tra i nati ed il numero delle femmine partorite).
- fecondità annua (intesa come rapporto percentuale tra i nati ed il numero delle femmine messe in produzione).

A2 Inquadramento agro-ambientale

Luogo di conservazione

 
A2.1 Identificazione sito collezione
A2.2 Conduttore dell'azienda

Attività agricola prevalente

A2.3 Ordinamento produttivo prevalente dell'azienda
A2.4 Caratteristiche luogo di collezione
A2.5 Origine del materiale collezionato

Luogo dove è stata inizialmente reperita la risorsa

A2.6 Materiale ritrovato/collezionato

Tipo

Quantità

A2.7 Parti della pianta utilizzate

Selezionare almeno una voce

A2.8 Usi della pianta

Destinazione

ambito

A2.9 Metodo di propagazione
A2.10 Tipo di portainnesto
A2.11 Sistema colturale
A2.12 Gestione colturale

Avversità - tipo/diffusione

A2.13 Modalità di raccolta
A2.14 Metodi di conservazione e trattamento post-raccolta
A2.15 Commercializzazione
A2.16 Rischio perdita dell'accessione
A2.17 Notizie circa altre collezioni o varietà simili locali scomparse
A3 Caratterizzazione genetica e/o morfo-colorimetrica dei caratteri seminali e fruttiferi
A4 Caratterizzazione genetica

Non obbligatoria, se non su richiesta specifica della Commissione tecnico-scientifica

A4 Note e commenti
A5 Note e commenti
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